Giuramento della Pallacorda

Giuramento della Pallacorda

venerdì 18 marzo 2011


La rivincita dei Giacobini del 1799

Di Antonella Orefice

Aspettavano il 150 anniversario dell’Unificazione dell’Italia per piangere i loro morti barbaramente assassinati dai Savoia, le loro sorelle violentate, l’oro dei Borbone finito nelle tasche del Nord. Aspettavano di tirare fuori la “loro verità” storica, decantando un regno paradisiaco stroncato nel sangue dei poveri innocenti che volevano difenderlo, che volevano rivendicare la loro terra, la loro dignità. Aspettavano e lo hanno fatto i neo borbonici, trovandosi di fronte all’altra verità, quella della storia, narratrice di glorie e vendette talora nemmeno percepite, perché forse ignari di tutto quanto era avvenuto nel loro regno florido di ricchezze, agi e splendori appena cinquanta anni prima. Quanta ipocrisia, quante manipolazioni, quanta retorica spicciola!

E’ certo comodo provare a discutere ed ammantare di dubbi quel miracolo storico quale è stato il Risorgimento italiano, tirando fuori statistiche e massacri, senza provare a fare un passo indietro e recuperare una memoria troppo scomoda ai nostalgici del Borbone. Sono bravi a decantarlo i suoi nostalgici adepti e non meraviglierà se tra un po’ ne chiederanno la santificazione, pretendendo lodi e requiem per i suoi adepti, facendoli passare per difensori della loro terra, infangando ancor di più la memoria dei martiri, quelli veri, quelli adombrati: i martiri della Repubblica Napoletana del 1799. Troppo scomodo parlare di quella guerra fratricida che vide massacrati migliaia di patrioti veri per mano del Borbone che vigliacco, cercò poi di assassinarne anche la storia, facendo bruciare documenti, reperti e tutto quanto potesse riportare la loro gloriosa impresa alla memoria a i posteri.

Nessuno osa ricordare o porre in essere il dubbio che quel tanto decantato oro del Borbone trafugato dai Savoia potesse derivare dalle confische perpetrate alle famiglie dei repubblicani finiti sui patiboli, nessuno osa ricordare le nostre sorelle violentate dalle truppe mercenarie che l’abile Borbone organizzò con gli inglesi ed il Cardinale Ruffo. Nessuno osa ricordare le stragi che insanguinarono tutto il Sud dell’Italia e quelle famiglie perseguitate per generazioni. Nessuno osa farlo, perché sono verità scomode ed ancora più risonati se solo si pensa che il massacro avvenne tra gente che vivevano nella stessa terra, per non dire nello stesso circondario. Nessuno dei suoi adepti osa farlo perché il loro re ordinò che tutto doveva essere dimenticato, nessuno doveva più ricordare, perché era una verità troppo degradante e, oltre a segnare la sua più grande sconfitta, ne metteva a nudo la sue scelleratezze ed i suoi crimini. Si è sbagliato il Borbone, ha fatto male i suoi conti con la storia, perché quella storia è stata ricostruita meticolosamente da chi realmente ama verità e giustizia e combatte per esse.

Dobbiamo piangere i briganti che furono massacrati dai nordisti e dimenticare i martiri del sud che nelle carceri napoletane della Vicaria, di Castel Sant’Elmo e di tutto il regno del Borbone patirono torture disumane e finirono sui patiboli, senza contare tutti quelli che persero la vita sui cambi di battaglia, che furono trucidati nelle loro case e di cui nemmeno il nome si ricorda. Quei martiri non difendevano il regno del Borbone, ma la Libertà, la Repubblica, quella che oggi in tanti calpestano, non comprendono, degradano e ne offendono la Costituzione.

Festeggiare l’Italia Unita, alla luce di questa storia dimenticata, ha significato festeggiare il sacrificio di quei martiri trucidati per la libertà del sud, per la dignità di quello stesso popolo lazzaro e brigante che, asservito al Borbone, contribuì in misura decisiva alla fine del loro sogno repubblicano. Fu un sogno che durò solo sei mesi, ma chi ama la storia, quella vera, quella che va oltre le manipolazioni, i preconcetti e l’ipocrita retorica, certo non lo ha dimenticato.

4 commenti:

  1. Come continuano a suggerirci innumerevoli esempi e letture (tra tutti il romanzo -ma è solo romanzo?- di Enzo Striano "Il resto di niente", dedicato alla vita della giornalista, poetessa, animatrice culturale e politica, Eleonora de Fonseca Pimentel), la Rivoluzione Napoletana del '99, pur negli aspetti a volte contraddittori, e con i limiti interpretativi ed operativi dei suoi stessi protagonisti, fu un grande, eroico, disinteressato tentativo di trasformare il tessuto civile e sociale di una realtà ormai stagnante ed ancorata ai principi assolutistici dell'Ancien Règime. Se la storia del Risorgimento è stata anche e soprattutto storia di un movimento ideale, pur complesso e multiforme, innervato sull'esempio e la testimonianza di uomini e donne, capaci di pagare anche le estreme conseguenze della loro azione politica (e la vendetta calata sulla Fonseca Pimentel, ne è una prova) è chiaro che il giudizio storico che oggi se ne può trarre non può non andare nella direzione indicata da Antonella Orefice. Gli uomini e le donne della Rivoluzione del'99, anche quelli orientati ad una visone più moderata e liberale, erano "radicalmente" differenti dall'apparato di potere borbonico, pur provenendo in alcuni casi dai suoi stessi ranghi. La radicalità della loro proposta era innanzitutto una differenza di "stile" politico, inteso come valore del pensiero non conforme, esplicato e vissuto nella condotta morale, nell'onestà intellettuale, nel sentimento condiviso della dignità dell'essere cittadini emancipati dallo status di semplici sudditi.
    La storia della libertà (perché la libertà "ha" una storia, e la sua storia è anche il nostro futuro) non è -con buona pace dei nostalgici- la storia dei Borbone o dei Ruffo (e per questo stesso motivo il rogo di Championnet mi ha sempre lasciato perplesso).

    RispondiElimina
  2. Questa sopra , sì che è retorica spicciola: come a dire che tutto l'oro di uno Stato potesse mai essere frutto di quattro scalcagnati rivoluzionari capaci di gettare il paese nel Terrore com fecero i giacobini in Francia. Nessuna Stato è mai stato il paradiso terrestre ma i giacobini sono riusc iti a renderlo un inferno. Non sono i "valori del pensiero" che rendono la vita vivibile ma i fatti della quotidianità e i fatti raccontano che si stava meglio , nonstante la vita fosse dura per il popolo in tutti i paesi, quando "si stava peggio". La rivoluzione e il risorgimento (con tutto il distruggimento VERO, REALE EFFETTIVAMENTE AVVENUTO COME NON MAI nelle contrade del del'ex Regno Due Sicilie)è azione di una minoranza di intelletualiodi settari, di gente che non ha mai saputo cosa vuol dire guadargnarsi la vita col sudore della fronte, altroché! Bene ha fatto il Borbone a mandarli sul patibolo ma troppo clemente è stato con i traditori della propria Nazione (i Poerio, i Mazzarella, i Petrucelli della Gattina, i Crispi, i Castromediano ...) questi andavavano giustiziati per alto tradimento, gente da legge marziale. Se si considera che la Repubblica ha comminato ai sette veneti nove anni di carcere, dico , nove anni tutti scontati per avere issato la bandiera di San Marco dove aveva sventolato per mille anni! E gli sciagurati che hanno cospirato per anni con lo straniero tarlando dal di dentro l'integrità del proprio Paese e della propria gente cosa avrebbero dovuto ricevere come pena a parità di severità della pena? Altroché nostalgia. Nonstalgici di una gloria fittizia che gronda sceleratezze sono proprio i giacobini odierni, irredentisti di una bieca ideologia stracolma di ipocrisia che si nasconde dietro l'altisonante nome di libertà o democrazia che è una parola mentre i fatti raccontantano tutt'altro. Non è una crocetta su una schieda nè una carta di Statuto che fa la differenza ma i fatti e i grondano lacrime, soprusi, miseria e tanto sangue. La solita ipocrisia dei giacobini. Predcano bene e razzolano malissimo. E voglio vedere se questo commento sarà lasciato da chi decanta libertà di parola e quanto altro. Rosalba (ho dovuto scrivere anonimo perché non ho altro parametro nella lista "Commenta come").

    RispondiElimina
  3. antoniocecere@live.it4 dicembre 2011 alle ore 11:17

    Gent.ma sig.ra Rosalba il suo commento resterà come ogni altro contributo. Condivido con lei l'idea che la democrazia non è una crocetta su una scheda elettorale. La democrazia è il discorso circa la libertà, ma come disse bene il filosofo ginevrino a cui questo blog è dedicato: " la libertà non è un discorso adatto a degli schiavi". La più nefasta conseguenza della tradizione giacobina è stata l'istruzione di massa, la scuola obbligatoria e gratuta per tutti. Ora che tutti leggono e scrivono al posto di una maggiore comprensione del telos democratico abbiamo ottenuto una volgarizzazione delle più assurde panzane dell'intellettualismo prezzolato di corte.

    RispondiElimina
  4. Aahh! Ecco ! L'elite vuole fare il brutto e cattivo tempo a seconda di ciò che più gli ritorna a proprio vantaggio.
    E bravo l'illuminato ginevrino tanto affascinato da "L'homme sauvage" , dalla liberté égalité fraternité salvo poi ammettere che ci sono uomini in diritto di comprare e sfruttare altri uomini "schiavi". Che bella coerenza il cosiddetto "filosofo"! e bene faceva quell'altro illuminato (Voltaire) più arcigno di costui a canzonarlo e prenderlo in giro ogni volta che proferiva le sue incoerenti e immaginose "tesi". I giacobini non hanno mai perorato alcunché sull'istruzione pubblica tutto al contrario: volevano a proprio esclusivo vantaggio l'accesso al saper emettere elucubrazioni, tanto per essere elite che le folle ambinavano manipolare e rendere propri iloti. Questi sono i figli morali del luciferino Weishaupt, e lo si è visto di cosa sono stati capaci. Per fortuna sono obsoleti, la storia li sta per rilegare definitivamente a un brutto, ma brutto, periodo storico stracolmo di ingiustizie e soprusi. A questo punto di gran lunga preferibili le innocenti panzane della prezzolata corte che migliaia di teste non ha mozzato. Ma solo quelle mele marce di pochi (non tutti purtroppo) giacobini. Rosalba

    RispondiElimina