Giuramento della Pallacorda

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lunedì 31 ottobre 2011

Il Trekking tricolore: un modo per parlare di Doveri. - di Nazzario Giambartolomei



Nella giornata del 31 ottobre 2011 si è svolto il consueto Trekking Urbano che come epicentro ha il comune di Siena. L’iniziativa ha però coinvolto l’intero paese. Una delle città che ha ospitato, nonostante la sua non proprio regolare planimetria, un coraggioso e unito gruppo di signori, signore e ragazzi, è stata quella di Urbino. Generalmente questo Blog non ospita rassegne di eventi urbani, ma quello che è avvenuto in questa giornata è un progetto che ha avuto al suo interno una esplicita riscoperta dei luoghi, delle vicende e dei personaggi del Risorgimento italiano. La città di Urbino, come tante altre, ha prestato molte energie e uomini in quello che è il periodo storico indimenticabile per noi italiani. Il trekking Tricolore (come è stato rinominato nell’anno in cui si festeggia il 150° dell’Italia Unita) prevedeva una visita guidata dalle orme dei padri fondatori, e dall’odore delle gesta dei coraggiosi garibaldini. In questi luoghi, come per esempio all’interno del Collegio Raffaello, nell’agosto del1860 le truppe pontificie proclamarono la resa davanti ai moti risorgimentali; oggi, in quello stesso luogo, quasi 50 persone si sono ritrovate ad ascoltare la narrazione di quelle vecchie ma sempre attuali avventure liberali. In un altro momento della giornata quelle stesse persone, oramai unite da un unico scopo - sentire, vivere quelle vicende nel proprio io, assieme, uniti in un sol corpo - hanno letto ed ascoltato i nomi dei combattenti risorgimentali che sono stati arruolati nella città di Urbino; non solo, hanno riscoperto personaggi urbinati come Raffaele Carboni, un secondo eroe dei due mondi, vedendo la sua casa e la targa fortemente voluta dal popolo e dal governo australiano. Tante altre sono le storie che si sono raccontate, riscoperte e rivissute. Un filo rosso oggi legava tantissime città italiane, quello stesso filo rosso, impalpabile eppure così visibile che ha unito uno un gruppo di persone che si è spostato nelle vie della città. Sono queste le iniziative che dovrebbero riscuotere l'interesse dei sindaci e delle regioni. Un popolo come quello italiano, che spesso ha manifestato il suo infantilismo durante le elezioni, deve essere nutrito con alimenti proteici, non deve essere assecondato nella ricerca cieca del principio di piacere. Si tratta di richiedere dai nostri rappresentanti un principio di responsabilità nell'attuare una gestione delle iniziative che privilegi iniziative stimolanti, che leghino in un cappio unitario il cittadino con la sua dimensione storica, e di converso con la sua essenza; in modo da stimolare la ricerca e/o la costruzione di un senso nella sua esistenza. Si tratta, però, di "parlare di Doveri" anche e soprattutto ai cittadini. Ecco a tal proposito una delle letture centrali della giornata di oggi:


Da "DOVERI DELL'UOMO" di Giuseppe Mazzini


Io voglio parlarvi dei vostri doveri (…) I doveri che io vi indicherò, io cerco e cercherò, finché io viva, adempierli quanto le mie forze concedono.

(…)Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, vi opprimono, dove l'esercizio di tutti i diritti che appartengono all'uomo vi è costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi e ciò che si chiama felicità è per gli uomini dell'altre classi, vi parlo io di sacrificio e non di conquista? di virtù, di miglioramento morale, d'educazione, e non di benessere materiale? È questione che debbo mettere in chiaro, prima di andare innanzi, perché in questo appunto sta la differenza tra la nostra scuola e molt'altre che vanno predicandosi oggi in Europa; poi, perché questa è dimanda che sorge facilmente nell'anima irritata dell'operaio che soffre.
Siamo poveri, schiavi, infelici: parlateci di miglioramenti materiali, di libertà, di felicità. Diteci se siamo condannati a sempre soffrire o se dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il Dovere a' nostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine, fanno monopolio dei beni che spettano a tutti. A noi parlate di diritti: parlate dei modi di rivendicarceli; parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrifizio. Così dicono molti fra i nostri operai, seguono dottrine ed associazioni corrispondenti al loro desiderio.

(…)Certo esistono diritti; ma dove i diritti di un individuo vengono a contrasto con quelli di un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti. E dove i diritti di un individuo, di molti individui, vengono a contrasto coi diritti del paese, a che tribunale ricorrere? Se il diritto al benessere, al più gran benessere possibile, spetta a tutti i viventi, chi scioglierà la questione tra l'operaio e il capo manifatturiere? Se il diritto alla esistenza è il primo inviolabile diritto di ogni uomo, chi può comandare il sacrificio dell'esistenza pel miglioramento d'altri uomini? Lo comanderete in nome della Patria, della Società, della moltitudine dei vostri fratelli! Cos'è la Patria, per l'opinione della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti individuali sono più sicuri? Cos'è la Società, se non un convegno d'uomini i quali hanno pattuito di mettere la forza di molti in appoggio dei diritti di ciascuno?

(…)Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che porteranno le vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria, che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli a' loro fratelli senza farli dipendenti dall'idea d'un solo o dalla forza di tutti. E questo principio è il DOVERE.


lunedì 10 ottobre 2011

Solo colui che ama profondamente Dio sarà un vero Ateo. di Antonio Cecere

Dopo aver letto la risposta di Alessandro Bertirotti all’articolo tradotto da Cesare Del Frate, mi sono domandato ma chi sono questo ateo e questo Dio che tanto scuotono le nostre menti.
Da una parte ci sono i credenti, gli aderenti a forme di monoteismo organizzato che sono ossessionati dalla presenza nel mondo degli atei; da un’altra parte ci sono gli atei che sono ossessionati dalla presenza nel mondo di Dio.
I primi amano gli atei a tal punto da non poter vivere senza preoccuparsi dello smarrimento che questi vivono in assenza di una Verità superiore, i secondi amano a tal punto Dio da preoccuparsi dello smarrimento che questo vive lontano dal mondo.
Ma proviamo a fare un poco di ordine:chi è Dio? Chi è un ateo? Vediamo alcune definizioni di Dio, almeno quelle più famose. Dal punto di vista ontologico, principio unico e supremo dell’esistenza, è sostanza immanente degli esseri o causa trascendente che crea il mondo fuori di sé. Oppure come fine dell’universo, sommo bene in senso assoluto in quanto tutte le perfezioni desiderabili scaturiscono da lui. Poi dal punto di vista logico, principio supremo dell’ordine nel mondo e della ragione dell’uomo. Quando Dio è considerato dal punto di vista fisico, come se fosse un essere attivo, esso diviene un Essere personale che agisce in quanto entità superiore rispetto l’umanità che ne diviene dipendente dalla sua protezione e se ne identifica in quanto gruppo sociale. Dal punto di vista morale, infine, Dio è l’intelligenza e la volontà perfetta che garantisce la moralità.
Le definizioni di ateo, invece, riguardano uomini o filosofi che negano la causalità di Dio, senza tener conto che questi uomini spesso non si consideravano atei in senso stretto. L’ateo, dunque, è spesso un senza Dio a sua insaputa. Non lo sapevano infatti i panteisti, e non lo sapeva Fichte, i primi a causa della loro identificazione di Dio con la natura e il secondo per aver scritto un articolo in cui identificava Dio “semplicemente” con l’ordine morale del mondo. Chi ha storicamente pensato il corpo come precedente all’anima si è visto etichettare da Platone come materialista naturalista, ovvero un ateo filosofico. Anche gli scettici come il buon Carneade di Cirene o il più recente Hume sono stati iscritti a questo partito loro malgrado. I veri atei spesso sono stati i pessimisti come Shopenhauer, che vedeva nel male e nell’infelicità del mondo un ostacolo insormontabile per la dimostrazione del Dio personale. Chi invece ha dato vera forza al movimento ateo è stato, a mio avviso, Feuerbach, il quale concepisce Dio come essenza oggettivata del soggetto, ovvero niente altro che una proiezione che l’uomo fa di se stesso in un essere superiore nel quale cerca di identificarsi. Nello stesso solco c’è quella categoria di atei che pensano Dio come una menzogna dell’umanità sempre in cerca di modelli da spacciare alle masse incolte, fra questi senz’altro il grande Nietzsche che, nella Gaia scienza, vede la menzogna come unica strada per esorcizzare le verità crudeli del mondo, e Dio è stata certamente la più grande fra queste menzogne.
Un altro ateismo, invece, vede Dio come una difesa dalle forze immense della natura e della sorte che risultano schiaccianti rispetto le esigue forze dell’uomo. Il campione di questa versione dell’ateismo è  Freud, che vede Dio come un immaginario grande  padre che viene continuamente invocato dagli uomini ancora a uno stadio infantile della propria evoluzione.
Questa carrellata di definizioni di Dio e di ateismo non è esaustiva né sistematica, ma spero basti per mantenere quel minimo di materiale su cui fare dei confronti fra le nostre posizioni.
Io considero però l’ateismo semantico di Carnap e Ayer la forma più interessante e certamente radicale di ciò che molti credono di dire quando dicono “ateo” di qualcuno.
Questi filosofi,infatti, spiegano bene che, una volta che la metafisica ha eliminato il Dio fisico dell’antichità, ha difatti eliminato ogni realtà del Dio che l’umanità va cercando da millenni.
Infatti essendo Dio un Ente conoscibile solo attraverso le parole delle narrazioni mitiche e dei libri sacri , egli, a mio avviso, non è altro che un discorso metafisico sulla causa e sull’origine del mondo. Chi nega Dio oggi, secondo me, nega il Dio del discorso dei libri sacri e delle religioni rivelate, in quanto discorsi non coerenti con le aspettative che l’uomo ripone nel Dio-causa.
Ma se la mia posizione circa l’ateismo contemporaneo ha senso, allora dobbiamo ammettere che il cosiddetto ateo è un uomo che trascorre la propria vita a parlare di Dio.
Pur negandolo, l’ateo pone al centro di ogni discorso Dio che resta così un elemento essenziale della ricerca circa la possibilità della comprensione del reale da parte dell’uomo contemporaneo.
Negare il Dio delle religioni non nega Dio e questo lo sapevano bene i panteisti che mai si dissero atei.
Atei sostanziali sono invece tutti coloro che si ritengono vicari di un qualche profeta e agiscono in aperta contraddizione con i discorsi che professano a parole e smentiscono con le azioni.
Ogni uomo che, pur partendo da una negazione, pone Dio come fulcro di un discorso sulla Verità, dimostra che la strada per la comprensione del Mondo è comunque segnata dall’anelito dell’uomo verso la perfezione, il Bene e l’armonia dell’universo.
Ciò che più sorprende in ultima analisi è che spesso più l’ateo che il credente pone Dio come protagonista del proprio discorso; il credente,infatti, troppo spesso si fida di parole riferite da libri approvati da conciliaboli di uomini.
In ultima analisi io non credo che esista né un Dio né un ateo secondo le definizioni che ho riportato. Io in accordo con Bertirotti credo che esista solo l’uomo con i suoi desideri.

Antonio Cecere