Giuramento della Pallacorda

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mercoledì 27 luglio 2011

Dove il termine "pazzia" inizia a scemare: Oslo e dintorni - di Nazzario Giambartolomei


(Nella foto: Il papa Urbano II proclama la prima crociata)


Sono spinto a scrivere queste righe da un senso di insoddisfazione per quanto leggo nei giornali, giornaletti e giornaloni. Nessuno ha il coraggio di prendere le redini della situazione e di riconoscere la sua responsabilità nei riguardi della nostra condizione sociale. Dico subito che intendo parlare della recente strage di Oslo, e dico anche subito che non voglio parlare di questa strage. Sembra una contraddizione? Forse, ma provate a lasciar scemare per un attimo le categorie logiche di verità e falsità ed elevatevi sopra di esse. Bene, ora parlerò e non parlerò della strage di Oslo. Leggendo e rileggendo le notizie, ma soprattutto i commenti a riguardo dell'attentatore, vedo che si transita ancora nella dualità di attribuire gli atti del "bombarolo" ad una religione o ad una associazione oppure ad una forma di pura pazzia. È mia opinione che si tratti di due visioni lontane dalla verità che non tengono conto delle sfumature presenti nella realtà.

La prima argomentazione colpa di una religione o di una associazione" è fallace perchè tende troppo a generalizzare e a puntare il fulcro della responsabilità dell'atto criminale non nell'individuo ma completamente nel suo ambiente sociale ed intellettuale (si pensi agli interessi del bombarolo come il templarismo, J. S. Mill, i video-game ...), tanto che tale logica fallace ci porterebbe a dover abolire il pensiero di uno dei più grandi filosofi politici del nostro globo.

La seconda argomentazione "Si tratta di un pazzo, punto e basta" è fallace perchè sovrastima la responsabilità del bombarolo e lo strappa dal suo contesto sociale ed intellettuale. La seconda argomentazione contiene oltretutto la parola magica "pazzia".

La parola "pazzia" tanto (ab)usata dall'italiano medio e superiore, appartiene a quelle categorie concettuali che fanno comodo alla nostra coscienza ma non alla nostra società. Quanto è facile e gustoso dire "Quello è solo un pazzo!" ed allontanare da noi stessi, così, la paura di vivere in prima persona (ma anche di commettere) atti del genere. Quanto è difficile smettere di nascondere i fatti sotto il velo delle parole come "serial killer" o "bombarolo". Siamo sicuri che il commettere crimini atroci si un qualche cosa di estremamente lontano dal nostro vivere?
Bè, innanzitutto potremmo dire, dato che gli atti criminali esistono nella nostra società, essi, in un qualche modo le appartengono. Sì, ma questo non è sufficiente.
Proviamo allora a tornare alle nostre due argomentazioni iniziali e alla visione dualistica che le rende fallaci. Scopriamo infatti, osservando meglio le cose, che anche in questo caso si tratta del limite del dualismo. Pensare a nette distinzioni tra "pazzia" e "sanità mentale" è insoddisfacente e crea grossi danni. Dovremmo rileggere i saggi di Georges Devereux, il quale, benchè di formazione psicoanalitica, non si perdeva nelle teorizzazioni più astruse ma si calava nel concreto e vivido ambiente sociale dell'etnia che aveva preso in considerazione. La grande lezione di Devereux giace nell'aver focalizzato la sua attenzione sulle cosiddette forme di devianza consentite dalla società. Prendiamo un semplice esempio, nella nostra cultura un ragazzo che assume cocaina per endovena commette un atteggiamento deviante nei confronti della legge, ma non nei confronti della sua cultura. Infatti, rispecchierebbe il tipico stereotipo sociale del "drogato". Ed eccoci già arrivati al punto. Il fatto che la nostra cultura o il nostro inconscio (etnico) contenga al suo interno l'imago per inquadrare un individuo che compie un atto deviante nei confronti della legge è la prova che quell'atto non devia dalla realtà sociale. Fino ad ora non ho parlato di Oslo, ma ne parlerò e non ne parlerò adesso. Come conciliare tutto ciò con le due argomentazioni iniziali? Proviamo a guardarle sotto il punto di vista sopra delineato.


1. "È colpa di una religione o di una associazione".

2. "Si tratta di un pazzo, punto e basta!".


Le religioni e le associazioni fanno parte del contesto sociale nel quale è immerso il pensiero di chi commette un atto criminale. Esistono varie religioni, istituzioni e associazioni; alcune sono portatrici di libero pensiero e tolleranza nella nostra società, altre invece tendono a perpetrare vecchi pregiudizi, dogmatismi e totalitarismi. L'atto criminale avviene all'interno di un contesto sociale (quindi anche religioso) e da esso non può essere strappato. Quella che definiamo pazzia, in realtà, come nel caso del bombarolo, è una forma di devianza dal punto di vista della legge, ma non dal punto di vista culturale; basti pensare al fatto che la nostra cultura ha già creato un termine per tali atti come "terrorista" ed ovviamente "bombarolo". Ciò che giace nel livello che si può vedere levitando sopra le categorie "bianco" e "nero" è che la pazzia prende la forma che la nostra cultura le offre. La nostra cultura, offre a colui che vive del disagio psichico un modo di diventare pazzo. Se riconosciamo come semplici pazzi e non invece come persone in un contesto culturale coloro che uccidono persone, l'uccidere persone diventerà una modalità di pazzia. Di converso, ciò viene dimostrato da come spesso si simula la pazzia quando si viene arrestati per un crimine. La persona arrestata tenderà a mettere in atto lo stereotipo del pazzo che ha nella sua mente (mangiare carta, ferirsi con lamette ...).
Per concludere, avendo provato ad elevarci al di sopra del dualismo, possiamo dire che il comportamento cosiddetto deviante non deve mai essere estrapolato dal suo contesto, perchè è proprio quest'ultimo ad offrigli il suo modus operandi. Non dobbiamo quindi escludere a priori la responsabilità di alcune religioni o istituzioni nel discriminare e nel creare nuove modalità di diventare pazzi. Il fondamentalista religioso potrebbe essere un modo di diventare pazzo? Probabilmente si, ma bisogna sempre tener conto di quale cultura si parla senza abusare della logica fuzzy. Di certo è che le discriminazioni vaticane di origine omofoba e quelle leghiste di origine xenofoba presenti nella nostra Italia, non ci difendono da questi pericoli; tantomeno ci difende il far scivolare le discussioni sul tunnel creato dal termine pazzia o il non voler riconoscere che il clima che ci ha cresciuti possa avere grosse responsabilità su quello che siamo e saremo.


sabato 16 luglio 2011

Fare gli italiani - di Giambartolomei Nazzario


“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! “. (Purgatorio, VI, 76-78)

Apro con le parole di Dante, sommo poeta per eccellenza, anche se guarderò la situazione italiana da un altro punto di vista. L’immagine dell’Italia come un grande bordello è forse una delle più attuali, non perché io disprezzi il piacere della condivisione della carne, ma perché nei bordelli è molto spesso difficile capire chi è “colui che chiede” e “colui che si concede”. Ecco, il bordello rende l’idea di uno scambio continuo di ruoli, un indistinguibile gioco delle parti. Non alluderò quindi alle eroiche imprese del Carlo Martello tutto nostrano. Di quelle poco m’importa; alludo invece al moralismo tutto clericale della cosiddetta (ma mai vista e forse mai esistita) sinistra italiana, che solo di poco si distanzia dal moralismo del vescovo e cardinale Pier Damiani (1007-1072) il quale ammoniva i fedeli dall’usare la forchetta - all’epoca costituita da sole due punte – perché la sua estremità biforcuta ricordava le gambe divaricate di una dolce pulzella. Puntando la propria attenzione sulle vicende di una prostata oramai finita, quella che doveva essere l’alternativa al berlusconismo in realtà si tramutava in una seconda forma di fascismo, pronto a (ri)rafforzare il concordato con la chiesa cattolica. Berlusconismo e/o fascismo a parte, che cos’altro rimane? Qual è l’alternativa ai regimi di Destra, Centro e Sinistra, ammesso che non siano tutte e tre delle false distinzioni geometriche? L’alternativa, a mio parere è solo una. Cioè, fare gli italiani. Fare gli italiani non significa fotterli, anche se questa è la via per rinnovare i volti della politica scelta dalla nostra partitocrazia (Minetti e giù - o sù - di lì). Fare gli italiani significa, come diceva Indro Montanelli, che:

“Noi dobbiamo metterci in testa che la lotta alla corruzione la si fa in un modo solo: cambiando gli italiani, non cambiando le classi politiche. Le classi politiche, anche quelle nuove, si corrompono, è inevitabile.

Ma se proprio volessimo fare un appello dogmatico ad una classe politica incorruttibile, siamo sicuri che essa basterebbe a risolvere i nostri problemi e a migliorare la società? Credo proprio di no. Si tratta di riesumare il pensiero politico di Giuseppe Mazzini, volontariamente dimenticato già in vita. La grande lezione del padre della Patria è quella di cui necessita la nostra nave sanza nocchiere ; una lezione che ci porta a ripensare la classica teoria dei diritti dell’uomo sotto la luce della teoria dei Doveri dell’uomo. Dovere dell’uomo è quello di migliorarsi, di perfezionarsi, di migliorare e perfezionare la sua società, la sua famiglia e la sua Patria. Non si pensi che tutto questo debba essere fatto per il fine della benevolenza di un dio extra-terreno che governa dall’alto; sarebbe un orribile e dannosissimo fraintendimento. Si tratta di vedere il sommo bene laddove vi è un segno di una capacità di miglioramento. Ovvero nella Coscienza e nell’Umanità. In questi organismi viventi giace il fine cui dobbiamo tendere. Fare gli italiani. Forse a questo punto sarebbe meglio dire “Farsi italiani” ma così non funzionerebbe più. Infatti, non tutti (ma voi che leggete non pensiate di essere tra questi) hanno la possibilità e la fortuna di intraprendere un cammino di perfezionamento; non perché si tratti di uomini incapaci, ma perché la loro povertà non gli permette di poter apprezzare il piacere ed il dovere di migliorarsi. Si tratta della cosiddetta piramide dei bisogni di Maslow per la quale i bisogni e i desideri degli uomini sono disposti in forma gerarchica in modo da dover soddisfare i bisogni fisiologici, di sicurezza, affettivi e di stima, prima di poter iniziare ad occuparsi dei bisogni di individuazione, miglioramento e quindi di realizzazione. Per questo motivo il Dovere di coloro che possono “mirare alto” è quello di “migliorare” o di “fare” gli italiani. Ma come? E non sarebbe questa una violenza, una costrizione sugli altri? Per la prima domanda lascio rispondere Giuseppe Mazzini con un passo dei Doveri dell’uomo.

“Ma che cosa può ciascuno di voi, colle sue forze isolate, fare pel miglioramento morale, pel progresso dell'Umanità? Vi potete esprimere, di tempo in tempo, sterilmente la vostra credenza; potete compiere, qualche rara volta, verso un fratello non appartenente alle vostre terre, un'opera di carità; ma non altro. Ora la carità non è la parola della fede avvenire. La parola della fede avvenire è l'associazione, la cooperazione fraterna verso un intento comune, tanto superiore alla carità, quanto l'opera di molti fra voi che s'uniscono a inalzare concordi un edifizio per abitarvi insieme è superiore a quella che compireste innalzando ciascuno una casupola separata e limitandovi a ricambiarvi gli uni cogli altri aiuto di pietre, di mattoni, di calce.”

Tramite l’Associazione possiamo aumentare le nostre forze e diventare costruttori di sogni possibili. A scanso di equivoci, parlare di Doveri non significa disprezzare i diritti ma esprime la necessità di capire che i primi precedono i secondi, ovvero, che senza l’assunzione di una sorta di responsabilità naturale da parte del cittadino nei confronti di se stesso e dell’Umanità non è possibile avanzare verso un vero e proprio Progresso. Dobbiamo quindi cooperare fraternamente per il bene comune e per la coscienza della società. La seconda domanda poneva il problema se tale tentativo di miglioramento degli altri fosse una sorta di violenza nei loro confronti. Si potrebbe dire, infatti, che si vorrebbe costringere alcuni ad essere felici nel modo in cui lo vorremmo noi. Ma non c’è cosa più erronea di pensare ciò. Qui non si tratta di cambiare i gusti delle persone ma di innescare quella fiamma che è in ogni individuo. È la sua coscienza a dover essere accesa. Non si pretende di diventare maestri di qualcuno, ma si cerca di mettere l’individuo nella condizione di essere maestro di se stesso senza altri intermediari. Ma come si conquista questa maestranza? La luce della maestranza di se non sembra trasmettersi per via ereditaria e nemmeno attraverso il linguaggio. La maestranza di se stessi è ineffabile e sfugge al linguaggio. È mia esperienza, però, che si trasmetta tramite il contatto personale, in quello scambio silenzioso di gesti, modi di fare, toni di voce e modalità di pensiero. In conclusione, la maestranza di se stessi può essere trasmessa attraverso modi che incarniamo in noi e che poi vengono percepiti dagli altri. Henry David Thoreau scriveva nella Disobbedienza civile:

“Accetto di tutto cuore l'affermazione, - "Il governo migliore è quello che governa meno", e vorrei vederla messa in pratica più rapidamente e sistematicamente. Se attuata, essa porta infine a quest'altra affermazione, alla quale pure credo, - "Il miglior governo è quello che non governa affatto", e quando gli uomini saranno pronti, sarà proprio quello il tipo di governo che avranno. Il governo è nell'ipotesi migliore solo un espediente; ma la maggior parte dei governi sono di solito espedienti inutili, e tutti i governi sono tali di quando in quando.”

Certo, sarebbe bello avere governi tutti intenti ad insegnare ai cittadini ad autogovernarsi, ma non so voi, io non ne ho mai visti. Per questo, la nostra Missione è quella di unirci fraternamente e lavorare al fine del Progresso dell'Umanità, migliorando noi stessi per trasmettere senza ipocrisie l'idea che il Progresso non può derivare totalmente dall'alto ma che è inevitabilmente in funzione della responsabilità del singolo individuo. Pochi si ricordano che la libertà ha un prezzo e quello che ho appena esposto è il conto (dopotutto non così tanto salato).