Giuramento della Pallacorda

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giovedì 10 marzo 2011

Per una politica della sofferenza


Questa mattina ho letto sul Corriere della Sera che la rivoluzione in nord Africa sta confermando la “profezia di Oriana”.
Una delle più acute penne del Corriere , Piero Ostellino, ci avverte che è in atto un esodo biblico di islamici i quali, dato il numero e le circostanze, rappresentano l’avverarsi della previsione che la giornalista Fallaci fece prima della sua morte: L’Europa diventerà Eurabia.
Secondo questa visione è in atto un invasione di “islamici” che inonderà le nostre terre e che porterà un arretramento della nostra identità occidentale a causa di una repentina islamizzazione della nostra società.
Finito l’articolo mi è tornata alla mente una delle più straordinarie lezioni universitarie tenute dal prof. Mario Reale su Rousseau: “la filosofia della sofferenza”.
Il prof. Reale è riuscito a trasmettere ai suoi studenti l’idea che la riflessione roussoiana sulla natura umana è anche una riflessione sulla sofferenza e sulla sensibilità che è patrimonio genetico di tutti gli esseri viventi.
Nel Discorso Sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini, Rousseau nella Prefazione scriveva così: “ Mettendo dunque da parte tutti i libri scientifici che ci insegnano solo a vedere gli uomini come si sono fatti, e riflettendo sulle prime più semplici operazioni dell’anima umana, io credo di scorgervi due principi anteriori alla ragione: di questi, uno suscita in noi vivo interesse per il nostro benessere e la nostra conservazione; l’altro ci ispira una ripugnanza naturale a vedere morire o soffrire un essere sensibile e in particolare i nostri simili”.
Secondo il filosofo ginevrino dunque l’essere umano partecipa, con tutti gli altri esseri viventi, a un’ esistenza basata su due principi semplici ed essenziali: il desiderio di auto conservarsi e il sentimento di pietà per tutti gli altri esseri sensibili.
Per essere più espliciti e diretti, il buon Jean Jacques, sostiene che l’uomo, in quanto animale, possiede due sentimenti naturali preesistenti allo sviluppo delle proprie capacità razionali.
Questo vuol dire che allo stadio primitivo e originario l’uomo possiede sentimenti di pietà e capacità di comprensione per la sofferenza del proprio simile.
La domanda che mi sono posto a margine della lettura dell’articolo sopracitato è se allo stato attuale della nostra evoluzione civile e morale siamo ancora in grado di provare il sentimento di pietà per la sofferenza dei nostri simili nel momento in cui osserviamo “l’esodo biblico” proveniente dal Nord Africa.
Sempre leggendo il Discorso di Rousseau troviamo più avanti nella Prefazione: “ Considerando la società umana con occhio pacato e disinteressato, essa sembra rivelare a prima vista solo la violenza dei potenti e l’oppressione dei deboli; l’anima si rivolta contro la durezza degli uni; si è portati a deplorare la cecità degli altri; e poiché niente è meno stabile fra gli uomini che queste relazioni esteriori prodotte dal caso più spesso che dalla saggezza, chiamate debolezza o potenza, ricchezza o povertà […] non si arriverà mai a fare queste distinzioni e a separare nella attuale costituzione delle cose ciò che la volontà divina ha fatto da ciò che l’arte umana ha preteso di fare”.
Leggendo questo passo mi chiedo se è pensabile attribuire ai fatti tragici della rivolta e della repressione in Libia un valore tanto diverso dal pensiero roussoiano circa le circostanze di una violenza dei potenti e l’oppressione dei poveri costretti a imbarcarsi per la Sicilia.
Non mi è parso di vedere truppe armate sulla nostra costa siciliana arrembare al grido di “Allah è grande”.
Mi pare invece di osservare gruppi di disperati, affamati e impauriti esseri viventi che fuggono alla ricerca della propria conservazione; uomini che sperano di fuggire dalla morte e dalla oppressione. Credo di vedere miei simili atterriti dalla crudeltà di chi gestisce la forza del dominio e sento in me quel primitivo sentimento di pietà che mi permette di partecipare alla loro sofferenza.
Penso che il  mio occhio non mi stia ingannando nell’osservare lo sconvolgente spettacolo di miei simili in fuga dalla morte e dalla disperazione giungere nel mi Paese, ma temo di intuire, dietro le parole del giornalista del Corriere, che esista la seria possibilità che nella nostra attuale epoca si sia affievolito quel primitivo sentimento di Pietà.
Probabilmente la riflessione di Fallaci(a) memoria risente maggiormente di un abitudine, post moderna, a considerare la propria civiltà non partendo dai valori umani che la fondano bensì dalla paura di perdere lo stato di benessere e di sicurezza che la propria comunità politica in qualche modo ha assicurato ai propri abitanti.
Che la partecipazione alla  sofferenza del proprio simile è una prerogativa degli uomini non lo pensava solo Rousseau, lo pensava anche quel Gesù Cristo che attraverso la propria sofferenza su una croce pensava di redimere l’intera umanità.
Che fine ha fatto la nostra capacità di avere Pietà del prossimo nostro?
Come possiamo scambiare dei poveri naufraghi in fuga dalla miseria e dalla morte con degli invasori pronti a trasformare la nostra civiltà?
Come si può temere un oppresso più della violenza dei potenti?
Io credo che di fronte all’esodo biblico in atto in questi giorni dovremmo verificare se la nostra civiltà è ancora in grado di sviluppare una politica della sofferenza.
Laddove la nostra comunità dovesse essere in grado di mostrare tutta la saldezza dei propri valori e riuscisse a gestire questa emergenza con pietà e fraternità, potremmo essere noi ad invadere gli animi dei nostri oppressi fratelli africani con la sensibilità che la sofferenza umana richiede sempre.    

2 commenti:

  1. Carissimo Antonio,
    ho letto con interesse e piacere il Tuo scritto, che è drammaticamente chiaro. Di fronte al malesseri di questa umanità, penso che il tuo ragionamento debba essere esteso anche alle popolazioni che vivono un altro tipo di miseria, proprio quella che descrivi: la miseria della democrazia. E' lei, questa bestia confusa e mai compresa, che origina l'idea di una governabilità basata sulla maggioranza. E se questa maggioranza mangia bene, perchè ricca, occidentale e approvata ecomicamente, è giusto che non abbia pietà. D'altra parte, fari riferimento Tu stesso a Gesù Cristo, che è stato ucciso dalla maggioranza e non dalla minoranza. Io scrissi un articolo intitolato Antropologia della debolezza, nel quale sostenevo come si dovesse cambiare l'idea di una selezione del più forte, di originaria provenienza darwiniana e svluppata dunque dallo Spencer. Dunque, per me, non credo che Rousseau abbia visto bene nel trovare due componenti umane, se non con il lume di una ragione che forse ha avuto solo lui. La verità, quella che sembra essere sotto tutti gli occhi di tutti, è quella dell'assenza di Pietà che, perdonami, non penso si abbia mai avuto realmente in questa umanità, se non individalmente da persone che sono passate alla storia, non a caso, come eccezionali.

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  2. Grazie per la tua riflessione Antonio, e ringrazio anche il Prof. Bertirotti per il suo commento. Io credo, che Rousseau abbia visto giusto; credo altresì che la sua affermazione vada contestualizzata all'interno di un contesto relazionale più che sociologico. Importanti scoperte neurofisiologiche mostrano l'esistenza di popolazioni neuronali che ci permettono di immedesimarci con l'altro e di "provare" le sue stesse emozioni. Tale empatia si mostra anche con la più banale visione di una soap opera. Il fatto che non ci sia una empatia simile per quanto riguarda le popolazioni straniere è frutto degli enormi pregiudizi che circondano tali popolazioni. Il pregiudizio si rivela più potente dell'empatia. Alcuni esperimenti di psicologia sociale come l'esperimento carcerario di stanford, l'esperimento S. Milgram sull'obbedienza all'autorità ci mostrano come l'umana pietà sia assoggettata e sottomessa all'"ideologia" che ci è stata impartita. Leggendo i giornali, anche quelli che si proclamano seminatori del verbo della tolleranza e dell'amore, si può vedere come ci sia una informazione che gioca ancora con i vecchi stereotipi culturali. Sembrano richiamare non più al terrore della "finitezza umana" ma a quello della "finitezza della "specie"" italiana, ignorando dolosamente che siamo un popolo che ha goduto in passato di apporti di ogni genere etnico. Nonostante alcune ricerche abbiano dimostrato come ci sia una sorta di diffidenza "naturale" allo "straniero" dovuto a fattori genetici, credo che l'uomo possa abbattere tali vincoli proprio grazie ad una informazione priva di stereotipi e pregiudizi.

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