Giuramento della Pallacorda

Giuramento della Pallacorda

martedì 22 febbraio 2011

Un giacobino tra Tripoli e Tehran



Io mi accingo a dimostrare, cittadini che il re può essere processato; che l’opinione di Morisson, che gli vuole conservare l’inviolabilità, e quella del comitato, che propone di processarlo come cittadino, sono entrambe errate, e che il re deve essere processato in base a principi che non assomigliano né all’una né all’altra opinione. […] Il comitato si propose unicamente di persuadervi che il re dovrebbe essere processato come un semplice cittadino. Io dico, invece, che il re dovrebbe essere giudicato come un nemico, che noi dobbiamo più combatterlo che giudicarlo, e che, non rientrando egli affatto nel contratto che unisce i francesi, le forme della procedura non stanno nella legge civile ma nella legge del diritto dei popoli. […] Ci si meraviglierà un giorno che nel XVIII secolo si sia meno progrediti che nell’epoca di Cesare: allora il tiranno fu immolato in pieno Senato, senza altre formalità che ventitré colpi di pugnale, e senza altra legge che la libertà di Roma. E oggi si fa con rispetto il processo a un uomo assassino di un popolo, colto in flagrante delitto, con la mano nel sangue, la mano nel delitto!
Gli stessi uomini che stanno per giudicare Luigi hanno una Repubblica  da fondare: ma coloro che attribuiscono qualche importanza alla giusta punizione di un re non fonderanno mai una Repubblica. […] Giudicare significa applicare la legge; una legge è un rapporto di giustizia; e che giustizia ci può mai essere fra l’umanità e i re? […] Ma affrettatevi a processare il re, perché non c’è cittadino che non abbia su di lui il diritto che Bruto aveva su Cesare! […] Luigi ha combattuto il popolo[…] é uno straniero, un barbaro […] voi avete visto i suoi perfidi disegni. il suo esercito; il traditore […] faceva leva segreta di truppe[…] è l’assassino della Bastiglia, di Nancy, di campo di Marte ( fece sparare sulla folla inerme n.d.t.) […] quale nemico ci fece più male di lui? […] non si può regnare innocentemente, ciascun re è un ribelle e un usurpatore […]

Luis-Antonie-Léon de Saint-Just
Discorso alla Convenzione per il processo a Luigi XVI
(13 novembre 1792).

Questo estratto ci riporta a una drammatica disputa nel parlamento rivoluzionario del 1792. Il contendere però riguarda sempre l’universale questione della libertà politica e della legittimità del potere.
Oggi noi, figli ingrati di quei giorni di sangue e coraggio, ce ne stiamo qui affacciati dalla nostra virtuale finestra di un social network, a tifare e sperare di vedere, nei gesti disperati di uomini oppressi, rivivere quella scintilla che è stata l’origine della nostra cultura: la libertà politica.
I giacobini europei agivano aderendo all’idea di virtù che scaturiva da una devozione al Bene comune e all’idea di una reale uguaglianza fra gi uomini.
La tirannia, al contrario, fonda la propria pretesa di governare uno Stato in virtù della logica dell’appartenenza di tutti a un univoco corpo sociale che si incarna in un individuo che dovrebbe rappresentarne lo spirito collettivo. Ogni tentativo di staccare il popolo dalla sua incarnazione, o al contrario di espellere l’incarnato dalla collettività che rappresenta, viene rappresentata come l’insana volontà di staccare una testa da un corpo.
La grande novità del furore giacobino fu quella di giustificare ogni azione in nome di una volontà generale  che, in quanto potere impersonale, non era identificabile al di fuori di un ideale puro riconducibile comunque all’idea di bene comune.
Il bene comune non è praticabile da un popolo che per troppo tempo non partecipa a nessun titolo alla vita politica del paese; cittadini abituati solo ad ubbidire e che vivono solo del proprio privato si rendono per sempre incapaci di agire politicamente. Uomini da sempre fuori dalle decisioni della polis non riescono a  pensare seriamente che si possa tutti insieme costruire un futuro politico ispirato a principi di uguaglianza, libertà e giustizia.
Possiamo noi oggi vedere nelle rivolte libiche e iraniane il germe e il furore di un futuro democratico e repubblicano anche per il meridione della Terra?
Da alcuni anni il cosi detto “scontro di civiltà” ci ha costretti a vedere nel mondo orientale popoli di fanatici religiosi insensibili alla libertà politica. Questa idea ci ha convinti che certe dittature filo-occidentali hanno una ragione di esistere in virtù del filtro che assicurano all’occidente contro le orde islamiste.
Invece in questi giorni si assiste a rivolte che nulla hanno di religioso; rivoluzioni che non si rivolgono contro gli stranieri. Come già nel 2009 a Tehran il nemico non è l’occidente Cristiano ma il despota che è al potere e ne approfitta con ferocia e per vantaggi di parte.
La sommossa popolare di questi mesi è rivolta contro tutti quei tiranni che negli ultimi decenni hanno usato il potere politico a fini personali; questi tiranni  si sono arricchiti a spese del popolo.
La battaglia in Egitto, Libia, Tunisia e Iran non ha nulla a che vedere con le fobie occidentali dell’invasione islamica. Oggi in Africa si muore per la libertà politica; per la giustizia intesa come redistribuzione di risorse che appartengono alla collettività; all’uguaglianza di condizione fra tutti i cittadini.
Le stesse ragioni che spinsero al furore i giacobini nel settecento sono alla base della disperazione dei ragazzi di Tripoli e Tehran. Io non so se queste rivolte porteranno benefici e la libertà che tutti sperano, quello che vedo è che in piazza non si grida Allah, ma Libertà.
In risposta a tutti i saccenti e oziosi vigliacchi che giustificano i tiranni con la scusa della diversità culturale, ai fanatici religiosi presi in contropiede da una piazza che non governano io dico di guardare bene in faccia al coraggio di questi ragazzi. Probabilmente i rivoluzionari di oggi  pagheranno caramente la loro rivolta, ma io credo fermamente che loro oggi rappresentano il simbolo di tutte le libertà e di tutto il progresso dell’umanità.
Forse i governi che verranno dopo questi saranno anche peggiori, ma gli uomini che cresceranno domani all’ombra di questa epoca di coraggio e sangue sapranno costruire anche in oriente una speranza di libertà.                           

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