Giuramento della Pallacorda

Giuramento della Pallacorda

lunedì 18 aprile 2011

Antonella Orefice - La Penna e La Spada

ANTONELLA OREFICE, La penna e la spada. Particolari inediti su Eleonora de Fonseca Pimentel ed Ettore Carafa conte di Ruvo, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - Arte Tipografica, 2009.

Gjorgio Vincenzio Pigliacelli. Avvocato fra Massoneria e Rivoluzione Ministro della Repubblica napoletana del 1799, Napoli, Guida, 2010.

Recensione di PIERSANDRO VANZAN (Gesuita, scrittore e redattore di Civiltà Cattolica, docente Pontificia Università Gregoriana)

L’importanza dei libri che presentiamo sta nel fatto che riportano alla luce una parte notevole ma trascurata della storia del Mezzogiorno d’Italia. Non a caso essi sono il frutto di ben 12 anni di ricerche, che l’A. ha portato avanti con passione e sacrificio, ma che alla fine — come dopo lunga gestazione e doloroso travaglio — ha partorito qualcosa che l’ha ben ripagata. Infatti, rimettere in giusta luce Eleonora, Ettore e la Rivoluzione napoletana del 1779 significa realizzare quanto auspicò Eleonora, salendo il patibolo in Piazza del Carmine a Napoli — Et haec olim meminisse juvabit (E forse un giorno gioverà ricordare tutto questo) — o quello che fu il motto dei Carafa: Hoc fac et vives (Fa’ questo e vivrai). Come scrive l’A. nell’introduzione, «ho affrontato questi lunghi anni di ricerche come una missione. Dopo essermi imbattuta in una serie di contraddizioni relative a topiche e mistificazioni che mi saltavano agli occhi via via che esaurivo la ricerca bibliografica, soprattutto sulla Pimentel, ho sentito forte l’esigenza di andare alle fonti documentarie, le uniche in grado di fare chiarezza su una serie di dubbi che le tante letture mi avevano fatto sorgere». E immergendosi nella polvere degli archivi, toccando con mano documenti dalla scrittura a volte fastosa, altre fitta, quasi illeggibile, mai si lasciò vincere «da quanto il custode del tempo rendeva incomprensibile». Era come un avventurarsi per sentieri serpentini, interminabili, intricati, dove il rigore dello storico è messo a dura prova dall’intreccio esoterico, storia e leggenda si fondono insieme, tanto da non distinguerne più i contorni.
Ma perché Eleonora, e perché Ettore? Come l’A. stessa confessa, «è stato un continuo divenire il mio rapporto con loro, che amo chiamare i miei amici del 1799, […] e nel tempo sono entrambi divenuti troppo coinvolgenti per ridurli a un mero argomento di studio. Piuttosto direi la continua scoperta e riscoperta della profondità di un io da disseppellire dalla polvere dei secoli, frammento per frammento, pensiero su pensiero». E così le pagine della prof. Orefice ci restituiscono non tanto un’idealizzata o malfamata donna settecentesca — nella letteratura giacobina, infatti, è «una martire santificata e sacrificata per la causa rivoluzionaria» mentre, in quella borbonica, è «un’esaltata mentale, un esempio negativo di donna che pur di fare storia ha dissacrando con un divorzio i canoni di una donna rispettabile: marito, chiesa e sacra famiglia» —, bensì una Eleonora ben viva, che attraversa un tempo che non le appartiene e spicca come un personaggio venuto dal futuro e costretto a vivere nel passato. Una donna coraggiosa, umiliata in una vita di coppia infernale, con un figlio mancato e qualche amore impossibile serbato nel cuore. Una donna a cui quella vita non ha dato modo di realizzare i desideri più dolci, ma ha concesso di morire libera e sola, fuori da quel tempo. E «la penna» è stato l’unico dono concessole e l’arma che usò tanto per alleviare la sofferenza del figlio morto, quanto per difendere la causa rivoluzionaria. Ma oltre gli scritti, di Eleonora ci resta l’esempio di vita, il coraggio con cui si è aggrappata a quello che alla fine è stato il suo unico bene: la libertà. Libertà di pensiero, di azione, libertà di vivere andando controcorrente, precorrendo i tempi. È quanto si percepisce nelle righe del Monitore, periodico da lei fondato, in cui esalta la Rivoluzione, l’emancipazione femminile e adombra Ettore Carafa, il conte di Ruvo, altro emblema della repubblica napoletana del 1799.
Ecco: Ettore ed Eleonora: due facce della stessa medaglia, uniti, indivisibili, profondamente diversi ma ideologicamente uguali. Ettore, come Eleonora, precorre i tempi: è uno spirito libero, ambizioso, deciso, che nessun ostacolo può fermare. Un uomo che arruola nella sua legione i prevetarielli a condizione che in guerra sapessero usare in tutti i sensi, come lui stesso diceva, «le palle». Un uomo mosso da esuberanza giovanile, dal volto ingrugnato, un carattere presuntuoso, ostinato e rude, ma tenero verso gli animali: tanto da insegnare al suo cavallo a salire le scale del palazzo. Un cavaliere romantico che protegge monache e fanciulle, che ama vestirsi alla francese, coi capelli corti, i calzoni lunghi e il panciotto rosso; che indossa la divisa da generale della Repubblica, organizza balli di società mentre cospira con la Massoneria, canta la Carmagnola coi soldati, preoccupandosi delle riserve di olio e vino. Ama profondamente ma segretamente Eleonora e, da gentiluomo, nulla lascia filtrare: troppo sconvenevole per un affascinante nobile di 31 anni libero e una donna ultra quarantenne con un divorzio alle spalle. O forse un amore troppo intenso e incomprensibile per chi sta al di fuori, e allora meglio tenerlo custodito gelosamente nel cuore.
Ma dopo questo coinvolgente — perché vero — «romanzo storico-piscologico» su Eleonora ed Ettore, l’A. si è impegnata in una ricerca non meno puntigliosa e interessante, ma di tutt’altro respiro e fascino.
Senz’altro pochi conoscono Gjorgio Vincenzio Pigliaceli, Avvocato, massone e Ministro della Repubblica napoletana del 1799, sicché l’A. si concentra quasi esclusivamente sul ruolo della Massoneria tra le pieghe del regno borbonico e, quindi, volutamente sorvola su altri aspetti (Massoneria e Chiesa, ecc.). La parola Massoneria, che negli ultimi 30 anni ebbe risonanze tutt’altro che positive — specie con i fatti della Loggia P2 —, ha invece una genesi di tutto rispetto, benché non priva di risvolti negativi, specie nei confronti della Chiesa. Di fatto, non si può dimentica il ruolo che la Massoneria ha avuto in molte parti d’Italia — come nel resto d’Europa — sia nel diffondere le idee scaturire dalla Rivoluzione francese, sia nell’applicare le conseguenti teorie politiche e sociali contrapposte ai vecchi schemi delle grandi monarchie europee. La ppo sesneria e Rivoluzione Minsitro della Repubblica napoletana del 1799Massoneria ha dunque una storia ricca e dignitosa, specie nella realtà napoletana, come riferisce l’Orefice che, in questa nuova fatica — al solito puntuale nella ricerca e selezione delle fonti —, ritrae la figura di Gjorgio Vincenzio Pigliacelli, giurista nato in provincia di Teramo nel 1751. Fin dai primissimi anni di studio e poi della professione il giovane dimostrò una vera vocazione per la sua professione, tanto da considerarla prioritaria rispetto ad altri aspetti della vita. Non si sposò e proprio per questo rinunciò all’eredità paterna, come stabilivano le leggi di allora. Come molti illuministi, anche la vita di Giorgio Pigliacelli s’intreccia con le vicende rivoluzionarie di Napoli, ed è proprio in quel momento storico che egli assume nella Repubblica napoletana svariati compiti, tra cui quello di Ministro di Giustizia e Polizia. E anche lui, come la Pimentel e altri, finirà impiccato nella Piazza del Mercato nell’ottobre 1799.

Attraverso la riproposizione di cinque documenti a stampa settecentesca proprio dell’avvocato napoletano finora inediti e conservati presso la Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, ottimamente riprodotti nelle pagine di questo lavoro, A. Orefice ricostruisce la vita di G. Pigliacelli e il suo legame con la massoneria napoletana, nello specifico la Loggia denominata “Libera Muratoria”: per i tanti giovani professionisti di allora, la massoneria rappresenta anche per il giovane avvocato il luogo, lo strumento tramite il quale poter manifestare il proprio spirito repubblicano. Massoneria, d’altro canto, in quel periodo è sinonimo di patriottismo, libertà e indipendenza: nel caso di Napoli dalla dominazione borbonica. Certo, l’A. non nasconde gli aspetti più controversi della Massoneria napoletana, quali per esempio l’interesse per le pratiche esoteriche e per l’alchimia e il conseguente scontro tra la schiera degli illuministi e «il curialismo conservatore dei Gesuiti» (p. 22), ma non affronta — e forse lo spazio non glielo permetteva — le varie dietrologie. Si concentra invece sul rapporto tra le diverse Logge e lo spirito repubblicano in veloce espansione nelle classi intellettuali napoletane. Perciò l’A. si dedica alle vicende di Giorgio Pigliacelli — personaggio emblematico di quel particolare momento storico napoletano —, ma proponendo alla fine una rapida ma esauriente carrellata di quanti furono definiti «martiri» di quel sogno che fu la Repubblica napoletana. E così, mentre apprendiamo le vicende di un giovane intellettualmente preparato e insieme animato da ideali di libertà e patria, abbiamo un’immagine più completa di quello che fu ruolo e destino della Massoneria napoletana, perseguitata da leggi durissime, simbolo però di uno spirito mai domo, capace anche di sacrifici estremi, come avvenne per Giorgio Pigliacelli e per tanti altri giovani di allora. Un lavoro accurato riesce a «ricostruire un periodo storico oscurato dalla damnatio memoriae inflitta dalla monarchia borbonica […]. Alla Orefice va il grande merito di aver ancora una volta fatto conoscere la vera storia della Repubblica Napoletana del 1799 in maniera chiara e oggettiva» (p. 7 s).

(La Civiltà Cattolica. 6 novembre 2010)

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